Di Maia. Ricordo quando ero bambina, le tue attenzioni, i tuoi no, il continuo ripetere dei valori fondamentali, la sincerità, l’umiltà, il rispetto, l’amore per il prossimo.
I tuoi proverbi che corrispondevano veramente alla realtà, i tuoi sguardi che mi ricordavano la disciplina, il tuo donarti continuamente a noi figlie con sacrifici, e quei gesti e la rinuncia a te stessa in favore della famiglia.
Ho riflettuto tanto a cosa significhi essere madre, in un periodo in cui la donna era appartata, nascosta. Ma tu eri come “la lucerna sotto il moggio” che illuminava la casa. Eri una donna prima di tutto, con le sue ambizioni, i suoi sogni; poi una madre con la sua miniera di parole, fonte e sorgente d’amore. Infine eri una sorella che ci consigliava e ci raccomandava.
Mi ricordo quando si usciva sole dicevi: “Mantieni l’onore!!”, che mi sembrava volesse dire di tenere fede all’impegno, alla parola data, di tenere cioè alto il prestigio della famiglia.
Non so se sono riuscita a mantenerlo, so solo che ero in cerca della felicità, che la donna si deve guadagnare con tanto impegno. Chissà se tu eri felice, ma so che di impegno te ne ho dato tanto io.
Non ho capito fino in fondo la maternità in quanto non sono diventata madre a mia volta. Ma il desiderio di esserlo mi è balenato nella mente. Voleva essere un dono al mio compagno, frutto del nostro amore per coronare una vita di relazione. Grazia che non mi è stata concessa.
Quei nipotini che nella tua vecchiaia avresti circondato di attenzioni, per coltivare i frutti che col tempo avevi maturato. Ma la gente parla, costruisce castelli su di me: pare che io sia sempre incinta, e me lo chiedono pure gli impiccioni ficcanaso.
Chissà come figlia cosa ti ho lasciato. Mi sono sentita protetta da te, a volte anche troppo. Tuttavia, per spiccare il volo ci vogliono le ali della libertà. Un passaggio che tu non hai attraversato, dalla tua famiglia sei passata al matrimonio, poi subito i figli e la tua abnegazione. Mi domando quale fosse la tua vocazione.
A volte i tuoi silenzi erano colmi di significato; la tua fermezza, il tuo rigore erano pieni di contenuti di saggezza, di discorsi comprensivi ma determinati.
Ti ho vista soffrire nel tuo nascondimento, e mi hai esonerato dal compito di accudirti, di sostenerti. Avevi ragione: infatti non ne sono stata capace. Fuggivo con inesorabile mostruosità. Ma mi era impossibile sottrarmi a questo giogo di sottomissione.
Chissà se ti sei sentita liberata o sottratta alla vita. Mi sei sembrata rassegnata, hai accettato con grande serenità e sopportazione il tuo destino.
Eri il collante della famiglia, la chiave indispensabile, il mediatore fantastico e cruciale per tutti noi. In fondo è il ruolo della donna madre e terra, sorgente di vita, che accoglie, nutre e protegge; che tiene in attività profonde influenze.
Mi piace pensarti come a un canarino, che con la sua dolce melodia svolazza da un ramo all’altro; oppure a un cigno bello e maestoso che domina il lago con la sua eleganza.
Sei una cosa sola e mille altre ancora, madre incurante di te stessa. Avrei voluto poterti baciare e abbracciare sempre, ogni qualvolta ti ho scoperta con le lacrime agli occhi.
Ma l’amore, quello vero, è quello che rende fragili come i fiori, che sbocciano e splendono prima che il sole e il vento li sciupi, e li porti via lontano, per dare nuovi frutti di maternità.