Di Cassandra. Percorrendo la Sardegna tra paesaggi incantati e silenzi millenari, si incontra un tempo in bilico tra il cristallo del cielo, l’azzurro assoluto dell’orizzonte attraversato da banchi di nubi e tramonti screziati, incendiati dal sole che muore.
Un mezzo sociale agglutinato, viscoso ha permesso uno sviluppo diseguale e destinato alla stasi i centri rurali afflitti da un’emorragia di risorse umane e capitale intellettivo, condannandoli all’abbandono.
La crescita demografica, in un’estensione di 24000 km quadrati, articolata in 377 comunità, delle quali 33 prossime all’estinzione e 166 a forte rischio -data la già bassa densità abitativa, è minata inoltre da irrisolti problemi di ordine logistico.
Si invoca il recupero dell’identità locale, il genius loci, come base per la creazione di opportunità di impiego nell’ottica di un nuovo benessere collettivo.
La costruzione della consapevolezza capace di cementare un autentico legame intergenerazionale passa dai custodi della coscienza di questo territorio che, avendo salutato tante albe di due secoli, sorprendono per l’inesausta pazienza nell’insegnarne i segreti e per la volontà indomita di accogliere il presente, in un vivace, critico, confronto. L’azione creativa per arginare l’abbandono dei centri urbani spetta all’energia delle donne. Creature nate dal ventre della Dea Madre, Janas delle viscere del sottosuolo, Erinni delle quali Omero non aveva cantato abbastanza, Muse mute di Pablo Volta.
A loro la responsabilità di imbastire un nuovo tessuto economico, fatto di piccole e medie attività che intercettino i bisogni espressi dal contesto sociale, con l’ambizione di essere un esempio di libertà e di avanguardia per la Nazione. Superando i campanilismi che costantemente hanno sabotato le iniziative frutto degli sforzi più genuini, con un lavoro capillare di conoscenza del patrimonio locale e di impulso all’ espressione e alla circolazione delle idee, in prima istanza attraverso dibattiti pubblici; nello spirito di un Nuovo Umanesimo. Come il recente, tenutosi a Fonni cui hanno preso parte le Sindache di 20 dei 57 Comuni amministrati da donne insieme alla Presidentessa dell’Associazione dei Piccoli Comuni della Catalogna che ha ribadito l’urgenza transnazionale di incentivi alla permanenza sul territorio. Da cui disegnare parallelamente progetti per la ripresa della natalità e per un piano infrastrutturale modellato sulle peculiarità geologiche.
Con l’entusiamo, la speranza, l’azzardo,- a tratti lo sconforto, la sfrontatezza, l’ingenuità di architettare delle utopie, oggi, -ma col coraggio e i mezzi, anche di fortuna-prossime realtà domani, proviamo a desiderare che Sardegna regalare a chi deve ancora venire al mondo.
Per bagliori di immagini: il colore del vento che percorre le distese di campanelle o degli asfodeli in controluce nella poderosa libertà degli spazi in cui mille essenze stanno sospese.
Una fantasia nutrita dall’amore che contraccambia la generosità di questa terra, lancia inviti alla collettività ad arginare lo spopolamento incuriosendosi delle iniziative di confronto sui temi dello sviluppo, attraverso nuove forme di lavoro. Propone di scommettere sulla realizzazione di arterie ferroviarie che facciano ripulsare i centri esclusi dagli attuali snodi, come avviene nella Barbagia di Nuoro e nella Marmilla ma come effetto domino, in ognuna delle aree geografiche dell’Isola .Di trovare soluzioni di ingegneria viaria,di concerto con altre realtà regionali italiane disposte a mettere in compartecipazione strumenti tecnici e scientifici già collaudati, non solo durante le calamità naturali ma soprattutto in fase preventiva anche attraverso la formazione dei rispettivi Corpi della Protezione Civile. Per tesaurizzare la risorsa del turismo, invece che disperderla, proponendo sfide estenuanti costellate di disagi alla permanenza del forestiero. Di stravolgere i connotati del Sulcis; curando le terribili stimmate dell’infatuazione industriale -sconsiderata, crudele- colpevole di aver spinto le intenzioni di un riscatto sociale in un passaggio spettrale, reso torbido dall’idea del lavoro come ricatto, che affligge anche queste generazioni.
Un Sulcis dove l’autarchia prenda la riscossa, in termini di sfruttamento delle risorse naturali, quali i prodotti della filiera pastorale, impiegati anche come materiali edili! da commerciare con la ben più matura Europa, come faceva la Repubblica di Venezia nel suo pieno fulgore, reso eterno dalle vedute del Canaletto.
I giovani, innumerevoli iridescenze di un vasto occhio immobile, testimoni dolenti in una dignità muta, viva trasfigurano in acuti slanci gli echi della natura che supplica la loro cura e devozione. Per mitigare tramite l’abbraccio della sua giusta guida le asprezze delle convenzioni comunitarie e varcare la paura dell’azione per resistere alla seduzione della fuga, avvelenata dalla nostalgia di un ritorno intorpidito dalle consuete lotte tribali e generare una comunione creativa tra i giovani, come un’onda anomala vivificante.
Identità liquide , geometrie linguistiche variabili seppur contigue, innescano cortocircuiti nel sentimento granitico dell’appartenenza riverberandosi nei sorrisi saldi della gioventù basculante tra la memoria e l’immaginazione .