Anche quest’anno, nella ricorrenza del 28° anniversario dell’uccisione di Giovanni Falcone, di sua moglie e della sua scorta nell’agguato di Capaci, torna in mente quello che è successo nel 1992.
Per quanto oggi più che mai è forte la memoria ed è incancellabile il ricordo del magistrato Giovanni Falcone, questa volta li ricorderemo con il silenzio anche per via della pandemia.
Doveva essere un pomeriggio come tanti altri, forse il sole era alto e la giornata prometteva bene, ma non fu così, perché quel maledetto 23 maggio 1992 fu il pomeriggio in cui il magistrato Giovanni Falcone, insieme a sua moglie Francesca Morvillo ed ai tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, e Vito Schifani vennero brutalmente assassinati in un attentato mafioso.
Una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica e tutti noi, tanto che ancora, in questo giorno, a 28 anni di distanza, ricordiamo tristemente la vicenda e la riviviamo con rinnovata emozione. Ed è giusto non dimenticare e tenere in mente gli orrori di cui siamo capaci. Ed allora il nostro ricordo va rivolto alle vittime di questo attentato (e di tutti quelli precedenti e successivi) ed ai loro familiari, che non hanno mai smesso di lottare, così come non smise di farlo, fino alla fine, il magistrato Falcone.
Se siamo qui e’ perché vogliamo credere che questi sacrifici, insieme alla nostra volontà di dire basta, un giorno porteranno la mafia ad una sconfitta definitiva. Il mio appello accorato si rivolge soprattutto ai giovani d’oggi, che devono credere in questo; devono credere nei loro ideali positivi, devono prendere d’esempio l’incorruttibilità di Giovanni Falcone o di Paolo Borsellino, assassinato anch’egli insieme alla sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudia Traina, da quella stessa organizzazione mafiosa, soltanto pochi mesi dopo. Loro avevano preso a cuore questa battaglia e volevano debellarlo questo male, così profondamente radicato e alla stessa maniera occultato nella società e nella cultura.
Se vogliamo che tutti gli orrori della mafia scompaiano in un futuro non troppo lontano, dobbiamo innanzitutto riuscire a rendere inefficaci i loro principali strumenti di controllo, primo fra tutti quella paura coercitiva e dilagante nella gente che si ritrova all’ombra di una cosca mafiosa ed imita alla perfezione il motto delle tre scimmie appartenenti ad una credenza religiosa del Giappone ovvero Mizaru “scimmia che non vede il male”, Kikazaru “scimmia che non sente il male” e Iwazaru “scimmia che non parla del male”.
Se non è chiaro, ma sono certo di sì, mi riferisco al muro dell’omertà, che in alcuni frangenti si estende non solo tra le misere genti e le persone comuni, ma in casi di particolare rilievo può manifestarsi anche tra i potenti che nutrono un certo interesse nel nascondere prove importanti perché, anche loro, immersi nel potere corrotto dalla mafia. Prendo come esempio la nota ed al contempo misteriosa, agenda rossa, appartenuta al magistrato Borsellino, dove vi erano appuntate informazioni importantissime che avrebbero agevolato la giustizia, ma che purtroppo scomparve nel nulla. Ora, è possibile che in seguito all’attentato gli stessi attentatori riuscirono in qualche modo a recuperarla, ma i dubbi rimangono e il mistero rimane aperto.
In questi ventotto anni si è fatto molto, ma c’è ancora tanto da fare. Tuttavia il nostro impegno costituisce il perno di una riconquistata giustizia che, mediante l’educazione alla legalità, possa essere strumento utile al raggiungimento di un futuro possibile per le nuove generazioni.
per la redazione
Raffaele Crispino