La regina del soul tra luci e oscurità
Amy Winehouse nasce e cresce nei quartieri che circondano Londra il 14 settembre del 1983. Nel 1993, per gioco, forma un gruppo amatoriale rap “Sweet’ n’ Sour”, una versione bianca ed ebraica del famoso gruppo “Salt’n Pepa”, uno dei simboli del rap degli anni ‘80, è attratta dalle mode dei sobborghi e dai grandi miti del jazz. Passa lunghe giornate tra i mercatini alla ricerca di vinili di artisti di ogni genere.
A quattordici anni viene allontanata dalla scuola a causa del suo look trasgressivo. Due anni dopo supera un provino ed entra nella National Youth Jazz Orchestra, una scuola di musica londinese nata negli anni sessanta per facilitare e permettere la crescita di giovani talenti. Nel 2002 firma il primo contratto discografico con la Island/Universal. L’anno seguente esce l’album “ Frank”, dedicato principalmente al suo ex fidanzato.
Compone musiche e testi ispirandosi al proprio quotidiano e ai grandi nomi del genere quali Dinah Washington, Mahalia Jackson, Otis Redding, Aretha Franklin, Ray Charles, The Shangri-Las, un gruppo che ama particolarmente. Amy crea uno stile innovativo nel quale unisce il Jazz al Soul e al Pop. Elemento costante nei suoi concerti è l’orchestra con i coristi. Nel 2006 esce il secondo album “Back to Black” che mette finalmente in evidenza tutte le sue qualità di grande interprete e cantautrice proiettandola nell’Olimpo dei più grandi artisti di sempre. Tra i tanti premi vince cinque Grammy Awards e quello come migliore artista pop femminile contemporaneo.
Amy Winehouse, ragazza dal carattere ribelle, ha sofferto sin da piccola di grandi disagi psicologici e sociali, bulimia e autolesionismo. La sua sofferenza ha raggiunto il culmine quando il successo planetario l’ha travolta e non è stata capace di autogestirsi.
L’abbandono e l’indifferenza da parte di molti sono stati decisivi per la sua morte prematura. Non è da escludere la buona fede di quei pochi che le sono stati vicino fino all’ultimo ma non hanno potuto salvarla. La sua solitudine è stata un’arma a doppio taglio, amore e odio nella confusione del suo autolesionismo. Nessuno deve essere lasciato solo nella sofferenza.
Amy mal sopportava il successo, scesa dal palco una volta spenti i riflettori. Rimaneva sola a far i conti con se stessa come la stragrande maggioranza degli artisti, funamboli sul filo della vita, precari peggio degli operai di una fabbrica di montaggio; ecco cosa è il mondo dello show business, una fabbrica, una fucina che costruisce ed elabora prodotti commerciali, che devono vendere; così.. via di trucco e parrucco e si sale sul palco, quella folla e lì per vedere, ascoltare, criticare, ci si consola, è una automedicazione, il pubblico che ti acclama, crede in te, vive solo di te.
<<La musica continua ad andare, ma tu non sei più lì, sei un ologramma di te stessa e quel pubblico che avevi tanto sognato non lo senti più tuo, provi rifiuto e repulsione; state bene a vedermi così, state bene a vedermi male, mentre crollo sul palco, mentre trattengo il vomito e nascondo la mia sete d’amore, i miei problemi….con l’alcool e la coca ci allungo i miei giorni per diluire un dolore, nel doppio fondo della mia valigia risiede un’altra vita, fatta di lividi e falsi sorrisi…>>
<<Nell’arco della mia breve vita, ho provato di tutto per fuggire da me stessa, ma non ci sono riuscita. Una missione impossibile alla quale segue un senso di frustrazione e alienazione; allora vieni giù all’inferno, nel mio inferno personale dove trovano posto la dannazione perenne, la noia e quel senso di impotenza che blocca psiche e membra, dove neanche il più forte trova una leva per reagire, qui il sole è lontano e non si intravede all’orizzonte…>>
<<Per quale motivo vuoi ricordarmi? Perché sono una persona che fa abuso di sostanze stupefacenti? Perché ho fatto i soldi con la musica? Perché il mio pezzo gira in heavy rotation su tutti i network?>>
Amy… Amy per sempre.
Complimenti un buon articolo. Bravi.
Grazie Stefano.
Ci manchi Amy…