Ventitré anni fa ci lasciò uno dei più grandi cantautori e poeti italiani, Fabrizio De André. Nato a Genova il 18 febbraio 1940, ricordato per i suoi grandi testi, per l’attenzione a tutto ciò che lo circondava : Genova, in particolare i carruggi e il porto; la cittadina di Tempio Pausania, da cui traeva ispirazione e trovava rifugio; le scene di vita sociale caratterizzate da criminalità, povertà, e prostituzione, per cui nutriva uno sguardo critico grazie a un’acuta osservazione.
Spinto da una società che mirava al miracolo italiano, De Andre’ raccontava al suo pubblico le storie di personaggi che sembravano non esistere in quel mondo fatto di potere e burocrazia. Trasmetteva nei suoi testi il messaggio che l’emarginazione è una parte della vita reale, rendendo dignità agli ultimi. La metrica utilizzata nei testi delle sue canzoni era ispirata dalla sua personale retorica, raccontando la storia di uno per raccontare la storia di tutti. Riusciva ad usare delle parole colte e ricercate per descrivere i fatti più tragici della vita. De Andrè non voleva sensibilizzare il suo pubblico fatto di giovani intellettuali e delle piazze ma voleva semplicemente raccontare il suo pensiero.
Morì l’11 Gennaio 1999 a causa di un tumore lasciando un enorme vuoto nel mondo della musica e in tutti quelli che gli sono stati vicino nei momenti difficili. Ricordiamo il fatto più eclatante quando venne sequestrato nella sua tenuta agricola di Tempio Pausania. In seguito De Andrè perdonerà i suoi carcerieri affermando che dietro il loro comportamento si poteva nascondere un passato disagiato. Questo episodio viene raccontato nella sua canzone “Hotel Supramonte”.
Dopo la sua morte il figlio Cristiano inizia un enorme lavoro di commemorazione del padre, ma questo lo fece vivere all’ombra del ricordo ricevendo un riconoscimento minore del suo talento rendendolo una metafora vivente.
“Ma se capirai se li cercherai
Fino in fondo
Se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo”
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