Il fenomeno Hikikomori
Nel 2020 è stato realizzato un cortometraggio dal titolo: “Ho tutto il tempo che vuoi” che tratta del disagio dell’Hikikomori, ovvero l’isolamento sociale che affligge maggiormente i giovani di sesso maschile tra i 16 e i 30 anni.
Hikikomori è un termine giapponese che vuol dire letteralmente “stare in disparte”; infatti è un fenomeno nato in Giappone dove prevale la cultura del gruppo e non quella dell’individuo, al contrario delle culture occidentali. Nel paese del Sol levante l’apparenza in pubblico è molto importante e i rapporti all’interno di una famiglia sono sempre carichi di aspettative, sia per i genitori ma soprattutto per i figli che si trovano in una condizione di ulteriore stress per la paura di deludere i familiari. I genitori di solito non chiedono aiuti esterni proprio per salvare l’apparenza, per paura che la famiglia sia malvista nella società. Il Ministero della Salute Giapponese ritiene che ci siano circa un milione di persone che soffrono di Hikikomori.
Forse però c’è un piccolo Hikikomori anche dentro ciascuno di noi e ce lo portiamo un po’ ovunque senza rendercene conto. Quante volte ci è capitato di isolarci completamente da tutto e da tutti camminando lungo un marciapiede con il telefonino in mano? Eh sì, la tentazione della musica sparata a tutto volume con le cuffiette, oppure una conversazione molto intima con qualcuno che ci porta a parlare a voce alta per le vie del centro e che tutti, ovviamente, sentono con grande curiosità e spesso con grande interesse. Gli Hikikomori ambulanti spesso corrono anche grandi rischi, come una ragazza che camminava assorta nella tecnologia del suo smartphone e non si accorse del palo segnaletico e lo prese in pieno, sapevo che ci sarebbe riuscita ma era troppo tardi per avvertirla. Chi si porta dentro di sé l’isolamento dalla propria stanzetta di casa in giro per il mondo non si accorge che a volte la gente ride nel vederli parlare da soli, poveretti, forse non vedono che l’Hikikomori ambulante porta un auricolare quasi invisibile. Anche l’amore non è esente da questo flagello e le coppiette sedute uno di fronte all’altro tra un morso alla pizza e un sorso di una bevanda scrutano messaggi importanti che non possono assolutamente essere ignorati, così gli sguardi languidi e le dolci parole di due fidanzati sono solo un vago ricordo di tempi ormai demodé.
Che dire poi della tecnologia che ha assorbito le nostre menti e i nostri cuori e ci aiuta nella ricerca di questa masochistica privacy anche sul posto di lavoro? Quante volte sarà capitato anche a voi il collega che annuisce mentre gli parlate dei vostri problemi mentre digita oscuri messaggi sui social e vi dice: “Si… si, ti sto ascoltando…?”.
Il nostro cuore potrebbe alleggerirsi pensando che una volta tornati a casa tutti questi Hikikomori di varie categorie scompaiano e restino fuori dalla porta ma… che succede? Il pranzo è pronto, siamo tutti a tavola, eppure c’è qualcosa che non torna… la tv è accesa e mia sorella fa zapping a tutto volume, mio padre cerca di parlare con mamma che gli sillaba qualcosa mentre rimprovera mia sorellina piccola che tra uno spaghetto e l’altro manda cuoricini via WhatsApp, il piccolino urla vuole un po’ d’attenzione, insomma…. forse se vado in camera a mangiare troverò un po’ di pace… già…. Anche la famiglia è cambiata, non c’è più il mulino bianco, ok ma neanche: “Beh? Come è andata oggi a scuola? Sei molto stanco?” Eh si… mi sa tanto che stiamo diventando un po’ tutti quanti degli Hikikomori… “Scusa hai da accendere? Si, il mio personaggio ha un sacco di skills, c’ha pure lo Zippo, però tu in cambio mi dai gli occhiali dell’ispettore Callaghan… “Ok… affare fatto”.