“Aiutateci ad aiutarvi”, è questo il grido d’allarme lanciato dalla Psichiatria durante una sentita fiaccolata. La manifestazione – organizzata a Cagliari lo scorso 3 maggio – è stata promossa dopo l’omicidio di Barbara Capovani, la psichiatra assassinata da un suo ex paziente lo scorso 21 aprile a Pisa. Sicurezza e strumenti per offrire un supporto adeguato ai pazienti sono le richieste degli oltre mille operatori che, da piazza Garibaldi, hanno puntato l’indice contro la mancanza di fondi, di personale e di strutture per svolgere in sicurezza il loro lavoro.
Psichiatria non è violenza. Ma è da evitare l’equazione tra malattie mentali e violenza. «Non esiste una relazione fra aggressività e disturbi mentali», ha detto la dottoressa Graziella Boi, direttrice del dipartimento di Salute mentale e dipendenze, che ha aggiunto: «In certi casi il rischio di comportamenti violenti esiste e non può essere negato o sottovalutato. Il nostro lavoro è fondato sulla relazione terapeutica, che non richiede investimenti in alta tecnologia ma la presenza di un capitale umano formato da operatori preparati e motivati».
No manicomi. Sbaglia, però, chi pensa di tornare ai manicomi. La responsabile della Salute mentale lo ha ribadito con forza: «La storia non può tornare indietro, l’epoca dei manicomi è sorpassata. Ci opporremo ad ogni tentativo di tornare al passato e smantellare il sistema di salute mentale di comunità faticosamente costruito negli ultimi quarant’anni, che costituisce un modello di riferimento a livello internazionale e un vanto della nostra sanità pubblica».
I numeri. I numeri parlano chiaro: l’Italia è al 21esimo posto su 23 per spesa nella Psichiatria tra i Paesi recensiti dall’ Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), con solo il 3 percento delle spese sanitarie destinate alla salute mentale.
Le conseguenze sono tragiche: i dati ufficiali dell’Inail riportano che nel solo triennio 2019-2021, 4.800 operatori sanitari hanno subito aggressioni, circa 1.600 all’anno, contando solo i casi più gravi. Un terzo delle violenze riguarda gli operatori della salute mentale.
Alla manifestazione dello scorso 3 maggio, che si è svolta tra piazza Garibaldi e piazza Yenne, non erano presenti solo i medici in camice, ma anche le associazioni dei pazienti e la collettività che ha preso atto del problema.