Di Maia Era una fredda giornata d’inverno, mi infilai un capotto nero col collo di pelliccia e uscii con i miei genitori che non mi diedero tregua: ”O esci subito con noi, o non torniamo indietro a prenderti”. Sì, perché dovevamo andare alla cresima di una cugina, ma prima c’era l’inaugurazione di una mostra di pittura, proprio sotto casa. I miei genitori erano i padroni del locale.
Io imbarazzata accettai. Entrammo nel locale pieno di gente sconosciuta, ed è li che mi scontrai con lo sguardo di due occhioni nocciola chiaro, tristi ma brillanti e sorridenti, tanto che rivolto lo sguardo per curiosità verso questi, trovai che erano spariti insieme al padrone. Li cercai rattristata, in quanto la sala era buia e soltanto illuminata da faretti, ma arrivò il momento di andare.
Tutto sommato la serata andò bene: la mia vita era cambiata, avevo ritrovato me stessa, le mie sicurezze e anche una cerchia di amici con cui trascorrere i fine settimana. Ero felice così, avevo soltanto voglia di divertirmi e l’idea di stare sola non mi spaventava più. L’anima gemella era ormai un miraggio lontano. “Meglio sola”, pensavo.
Intanto lavoravo come inserviente in una scuola materna, ma la stanchezza la faceva da padrona: ”Sempre stanca e poi… stanca”. La stanchezza era cronica: infatti, quando rientravo da lavoro mi mettevo subito a letto, e come un sasso caduto dal cielo dormivo a dismisura.
Dove erano finite le mie energie? Dove era finita quella ragazzina che faceva le piroette quando si trasformava in ballerina e imitava Raffaella Carrà?
Ero una bimba ribelle, a casa mi scatenavo, anche se poi con gli estranei mi prendeva un senso di soggezione, di timidezza: prevaleva l’educazione ferrea dei miei.
A scuola ero nella media, non eccellevo, ma la mia vena artistica venne fuori fin dalle elementari: “Tu diventerai una brava pittrice”, diceva la maestra. Alle scuole medie mi consigliarono di iscrivermi al Liceo Artistico.
Crescendo ero sempre più consapevole del mondo circostante e diventai sempre più taciturna. Mi innamorai per la prima volta all’età di quindici anni di un diciottenne bello come il mare: ed è al mare che lo conobbi. Ma pedinata dai miei genitori, mi rimase in eredità un lungo bacio: ”Devi studiare” era questa la loro frase ricorrente, “non hai l’età”.
Presa da una rabbia incontenibile, tra dolore e sconforto, venne fuori tutto il marcio di me. Piangevo lacrime amare, e dello studio non ne potevo più: uno strano torpore invase il mio corpo, la mia mente, la mia anima.
Dichiarai guerra, anche se la mia era la ricerca di un dialogo. Fu un fiasco completo e un precipitare sempre più nelle sabbie mobili.
Ma galeotto fu ancora il mare: io persa per le strade del mondo, lui un uomo introverso, duro, ma innamorato e molto geloso. Avevo vent’anni e mi ci abbandonai, per poi scoprire la realtà di una persona egoista e maschilista.
Ero succube di lui, ma pian piano veniva fuori da me un senso di disagio e di pericolo. La mia ribellione risorgeva, finché non lo lasciai. Mi scoprii determinata e nuovamente forte delle mie decisioni.
Ma come affrontare la mia famiglia? Presi il coraggio e raccontai. Ascoltarono e compresero. Ma ormai ero sola, trafugata, depredata. Per anni non uscii più di casa, la mia camera era il mio luogo di perdizione, di rovina, di tormento: regnava un disordine generale.
Cosa stava succedendo alla mia testa, al mio cervello? Cercavo e ricercavo sui libri alla scoperta di una ragione. Arrabbiata anche con Dio, mi imbattei in un dialogo con Lui. Scoprii invece la sua tenerezza, il suo amore. Questo malessere mi prendeva sempre più, spazzata via dal vento, e caddi inesorabilmente in un buco nero. Conobbi così Dio e insieme a lui la Croce.
Chissà perché alla mia famiglia qualcosa non tornava. Mi portarono in casa “un amico”, dissero: era uno psichiatra. Fu un travaglio lungo e sofferto, tutt’ora ho delle difficoltà a dirlo: ”Io!!! Malata psichiatrica?!?! Ma siete voi i malati, cercate di difendervi da me…”.
Mi hanno dovuto infilare i farmaci in bocca. Il mio orgoglio più profondo svaniva, per lasciare il posto alla vergogna. La mia dignità fu schiacciata a poltiglia e gettata in fondo al mare.
Ora frequento il Centro di Salute Mentale, ho conosciuto tanti amici e svolgo diverse attività. La mia vita è cambiata, io sono cambiata. Seppure sempre combattuta tra realtà e illusione, conduco comunque una vita dignitosa. E rientrando a casa per incontrare quegli occhioni nocciola chiaro, scopro che la vita è bella anche così.